mercoledì 10 giugno 2020

Step 15 - VIAGGIO NEL TEMPO: IL NOVECENTO

Siamo giunti all'ultima tappa della nostra avventura attraverso i millenni della storia tintoria, in cui esamineremo le più recenti innovazioni con uno sguardo alle prospettive future.

Durante l'Esposizione Universale Londinese nel 1862, gli ospiti potevano già ammirare molti tessuti tinti con le nuove sostanze coloranti, derivate dal catrame. Pochi anni dopo, all'inizio della I guerra mondiale, le tinture sintetiche avevano già sostituito quelle naturali perché molto più economiche e immediate da ottenere: bastavano pochi componenti chimici, del catrame e un buon laboratorio.

Inizialmente, i leader del mercato furono la Gran Bretagna e la Francia, ma i primi anni del Novecento videro l'ascesa della Germania e della Svizzera: quando i brevetti francesi e britannici vennero a scadere, le principali ditte tedesche e svizzere entrarono nei mercati d'oltremanica e francesi conquistando grandi quote di vendite a spese dei leader precedenti. Agli albori della Grande Guerra, la percentuale della produzione mondiale appartenente alla Germania oscillava attorno al 75%, fino a salire al 90% negli anni 20.

Lo scorso secolo vide l'introduzione sul mercato dei primi tessuti sintetici, tra cui il Nylon (poliesametilenadipamide) nel 1938, di origine statunitense, il Perlon (Nylon 6), prodotto dal 1941 dalla tedesca IG Farben, o il Teflon, commercializzato dagli USA a partire anch'esso dal 1941. A differenza delle fibre naturali, questi risultavano molto meno reattivi alle colorazioni tradizionali. Questa proprietà costrinse l'industria tintoria a rivedere i propri processi produttivi, fino ad incorporare la colorazione dei tessuti direttamente nel processo produttivo degli stessi.


Composizione chimica del Nylon e del Perlon


Le nuove lavorazioni risultarono però dannose per all'ambiente, principalmente a causa di una cattiva gestione degli estratti e derivati del catrame. Le diatribe legate al mondo delle tinture tessili continuano fino ai giorni nostri. Solo lo scorso anno, nei laboratori Greenpeace è stato messo in evidenza una componente cancerogena contenuta nei coloranti di capi d’abbigliamento distribuiti dai grandi brand. Perciò, il settore tintorio si sta indirizzando verso un "ritorno al naturale", anche perché i problemi non riguardano solo la salute dell'uomo, ma anche del clima e dell'ambiente.


Pigmenti nelle acque di scarico


Le problematiche principali riguardano lo spreco d'acqua, tra i sei e i nove trilioni di litri all'anno (l'equivalente di due milioni di piscine olimpioniche). Circa il 75% dell'acqua utilizzata, inoltre, diventa acqua di scarto inquinata, non potabile ed estremamente dannosa per l'ecosistema, in quanto può danneggiare le piante, gli animali e, potenzialmente, entrare nella catena alimentare. In questo contesto, è recente la scoperta di un microbo produttore di pigmenti (tra il rosa e il blu), il cui contributo potrebbe portare ad un eccezionale risparmio di acqua (500 volte in meno) e alla completa eliminazione delle sostanze chimiche dannose.



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